Un'altra cosa che salta subito all'occhio leggendo i capitoli della peste in Milano è come gli schemi si ripetano al ripetersi di determinate minacce; come in un primo momento si sottovaluti il pericolo, e in un secondo, a frittata già fatta, si corra ai ripari adottando contromisure perlopiù inefficaci ma che acquistano valore di sacramenti, pena finanche l'arresto se si prova a metterli in discussione. Così accade che tanto più è incerto il responso della scienza, tanto più è ottusa e monolitica la direttiva sanitaria che ne consegue, e che alla paura del contagio corrispondono sempre degli untori sui quali la brava gente può sfogare le sue nevrosi, comprensive di mascherine e di gel disinfettante al posto dell'aceto medicato:
I più tenevano da una mano un bastone, alcuni anche una pistola, per avvertimento minaccioso a chi avesse voluto avvicinarsi troppo; dall’altra pasticche odorose, o palle di metallo o di legno traforate, con dentro spugne inzuppate d’aceti medicati; e se le andavano ogni tanto mettendo al naso, o ce le tenevano di continuo. (capitolo XXXIV, Promessi Sposi)
C'è stato un tempo in cui pulivamo la spesa del supermercato con l'amuchina per paura che il virus si fosse conservato sulle superfici, come sui muri imbrattati dagli untori, c'è stato il tempo dei monatti e quello dei cenoni in cui era fatto divieto di cantare a voce alta per non spargere in giro le mortifere goccioline di saliva, senza contare che bastava una sola "p" ben pronunciata per lanciare materiale infetto a distanza di nonnetto, dunque non si fa peccato a dire che a conti fatti siamo gli stessi di quattrocento anni fa ma ci crediamo uomini del futuro.
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