Spinoza prende le mosse da Cartesio e ammette in un primo momento che esiste una substantia cogitans e una substantia extensa, cioè la dimensione del pensiero immateriale da una parte e quella del mondo materiale dall'altra, ma, com'è risaputo, si accorgerà in seguito che queste due sostanze in realtà sono una sola, la sostanza divina, e materiale e immateriale ne costituiscono i due aspetti o punti di vista. Ma, scrive Schopenhauer, il fatto che materiale e immateriale condividano la stessa natura non dimostra come dalla rappresentazione nel mio cervello possa essere desunta l'esistenza certa di oggetti separati e indipendenti da me. Rimane irrisolta la difficoltà cartesiana "che cioè il mondo, l'unico dato a noi immediatamente, è semplicemente un mondo ideale, costituito cioè da pure rappresentazioni della nostra mente, mentre noi, andando oltre, tentiamo di giudicare un mondo reale, cioè esistente al di fuori delle nostre rappresentazioni". Spinoza risolve la questione raccogliendo le due dimensioni, la materia e la sua rappresentazione, in Dio, che per Spinoza è il mondo stesso: "Abbiamo qui innanzitutto un completo realismo, in quanto l'essere delle cose corrisponde esattamente alla loro rappresentazione in noi, e i due termini anzi sono una cosa sola. Di conseguenza noi conosciamo le cose in sé" (e qui rampogna di Schopenhauer sulla mancanza di chiarezza di Spinoza, il quale usa indiscriminatamente "Deus", "substantia" e "perfectio" per intendere tutto e niente a seconda delle circostanze). Potremo aggiungere di nostro che anche Spinoza poggia la sua dimostrazione dell'esistenza di Dio sulla prova ontologica, per cui presume la sostanza divina come conseguenza di un essere perfettissimo posto come tale ab origine, senza dimostrare perché debba essere tale o debba esistere come tale. Secondo Schopenhauer, Spinoza poi compie un errore fondamentale: "l'errore fondamentale di Spinoza sta nel fatto che egli ha condotto da un punto non giusto la linea di separazione tra l'ideale e il reale, cioè tra il mondo soggettivo e quello oggettivo. In altre parole, l'estensione non è per nulla il contrario della rappresentazione, ma è compresa pienamente in quest'ultima". Poiché per Schopenhauer, come aggiunge subito dopo "Indubbiamente le cose sono estese soltanto come rappresentate e rappresentabili solo come estese: il mondo come rappresentazione e il mondo nello spazio sono una eademque res". Sottigliezze, voi direte, ma il sunto è questo, ed è questo sunto che qui mi propongo di fare. Seguirà Berkeley. (continua)
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