Me lo sono goduto questo weekend, leggendo perlopiù di filosofia del tempo, spinto dall'interiore necessità di venirne a capo perché mi sento una cosa misera, collocata suo malgrado in una certa regione della realtà al solo scopo di attendere la fine. Voi non ci pensate perché magari considerate più pratico non pensarci, meglio per voi. In tutto questo mi si sono dischiusi innanzi anche un paio di gradevoli paesaggi, ovviamente fondati su argomenti inoppugnabili seppure poco frequentati. E' incredibile le cose che non notiamo presi come siamo dalla vita e ancora più incredibile quanto cocciutamente vogliamo che non vi sia altro. Chiamatela come volete, principium individuationis, isolamento della terra. Avvolti nel bozzolo dell'io che ci comanda, con i suoi imperativi e i suoi desiderata. Tutti gli sforzi che ci infliggiamo per vivere, per portare a casa la giornata, la corrutèla, le innumerevoli vicende che ci coinvolgono, con tutti gli innumerevoli gradienti di liceità che le contraddistinguono. Se non un sogno allora un incubo, una gran fatica, un lungo errare (nel senso dell'errore), un lungo orrore (nel senso dell'errare). La vita si patisce. E allora non sono io che voglio trascendere il mondo, è tutto il mio essere che me lo chiede, non per fare il santo o l'eremita, ma proprio perché mi trovo davanti a una volontà spossata che trova perlopiù ridicolo lottare, rimanere invischiata, insistere nel gioco. Questa sì che sarebbe pace, altro che volontà di potenza, un "sì" ma ben più placido, senza tutta l'enfasi e la pompa dell'esagitato e del cane in fregola.
metti la bibliografia immediatamente senno' non ti do più' i link della new wave pallosa
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