sabato 26 dicembre 2020

Il commissario

Un morto sparato in una rapina, niente di nuovo, nessun testimone, nessuna telecamera, nessuno aveva visto o udito alcunché, e non perché fossero tutti istruiti alla legge dell’omertà, che avrebbe almeno comportato un impegno, un indizio di intelligenza seppur indirizzata alla perpetuazione del male, macché, semplicemente ognuno era beatamente calato negli affari suoi: i passanti passavano, i barbieri sbarbavano, nessuno si era preoccupato di udire o percepire lo sparo, confuso com’era fra i rumori della strada, ché a un fattorino, o per meglio dire, a un “addetto alle consegne”, poteva essere sfuggita qualcosa di mano, o poteva essere stata la marmitta di un motorino che a volte scoppietta per motivi forse inerenti a qualche speciale trucco del carburatore, insomma, il morto stava lì per terra, nella sua consueta pozza di sangue, l’assassino svaporato, come un fantasma.

Il commissario arrivò sul posto perché quel morto era toccato a lui, lo faceva per lavoro, e aveva un metodo: lasciava che le cose andassero per conto loro indagando il minimo indispensabile, se le circostanze l’avessero permesso, l’assassino sarebbe stato consegnato alla giustizia, altrimenti pazienza, la vita sarebbe andata avanti comunque, eccetto che per il morto. Con il suo metodo, al limite del menefreghista, aveva comunque risolto più casi dei suoi colleghi che invece si incaponivano a tentare di comprendere, a interrogare i fatti e le persone, quando invece non c’era niente da capire, casomai solamente da prendere atto: a non incomodarla troppo la realtà restituiva sempre un colpevole.

Il morto, dal canto suo, era morto senz’ombra di dubbio, gli avevano sparato un colpo in pieno petto, a breve distanza, questo poteva indicare che l’assassino era un tipo pratico, uno che badava al sodo, oppure che aveva optato per la soluzione più facile. Sì, ma perché sparare? L’assassinato era il proprietario di un negozio, un ferramenta. Non sembrava aver opposto resistenza, la cassa, ancora aperta, era stata svuotata. Preso il denaro non ci sarebbe stato motivo di prendersi anche la briga di premere il grilletto, fatto, questo, che in generale aggrava notevolmente la posizione del colpevole, qualora acciuffato. Il commissario, che di suo non sapeva nemmeno attaccare una mensola, si sentiva a disagio in quell'ambiente pieno di utensili appesi alle pareti, la metà dei quali non conosceva nemmeno di vista. Magari era stato solo un regolamento di conti camuffato da rapina, un depistaggio, ma era ancora presto per dirlo. Lasciò fare ai periti che gli avrebbero poi presentato le loro conclusioni e lui avrebbe dovuto solo indirizzare le cose nella direzione che avrebbero indicato i referti: se il crimine era la patologia, lui sarebbe stato il medico di base.

Per la verità lui avrebbe preferito indagare, come tutti, sul caso Cacchione, o “il delitto di Melania” come lo chiamavano i giornali appropriandosi indebitamente dell’intimità della vittima, come se quella povera ragazza che avevano trovato priva di vita ripiegata come un manichino nella sua vasca da bagno fosse stata la loro amica del cuore. Il caso aveva avuto una certa risonanza mediatica, qualcuno era stato pure intervistato, colleghi, ma soprattutto pezzi grossi della procura che passavano il tempo a fare buchi nell’acqua e che erano comunque balzati agli onori della cronaca quasi fossero dei Montalbano, per non dire Sherlock Holmes. A lui, invece, sarebbe toccato il ferramenta. 

[Continuo?]

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