«rinvenendo dei ragni, farli combattere tra loro, oppure, rinvenendo delle mosche, le gettava nella ragnatela e osservava la battaglia con immenso piacere, a volte ridendo».
Si sarebbe tentati di fare lo stesso con le zanzare. Tuttavia anche Cartesio dimostrava un uguale disprezzo per l'intelligenza degli animali nel suo Discorso sul metodo:
«Ed è ancora assai notevole il fatto che, sebbene molti animali mostrino in qualche loro azione un’abilità maggiore della nostra, non ne rivelino tuttavia alcuna in molte altre, per cui quel che fanno meglio non prova che abbiano un’intelligenza, [...] così come un orologio, fatto solo di ruote e di molle, può contare le ore e misurare il tempo con maggiore precisione di quanto possiamo noi con tutto il nostro senno», ma non per questo significa che l’orologio pensi o addirittura patisca.
E Spinoza rincarava la dose nella sua Ethica:
«da qui appare chiaro che la legge di non ammazzare le bestie è fondata più su una vana superstizione e su una femminea compassione che non sulla sana ragione. […] Non nego tuttavia che le bestie sentano, ma nego che per questo motivo non ci sia lecito provvedere al nostro utile e servirci di esse a nostro piacere».
Leibniz, che nel meccanicismo cartesiano fu strenuo oppositore, amava invece molto le bestiole, tutto era vivo nel suo universo, e per non dire di Schopenhuer, legatissimo ai suoi barboncini, che a proposito del filosofo dell'Ethica scrisse: «non sembra che egli abbia mai conosciuto i cani», e ci ricorda una massima spagnola: Chi non ha tenuto con sé un cane, non sa cosa sia amare ed essere amato. Conseguente giudizio lapidario su Spinoza:
«Per tutti questi motivi l'Ethica di Spinoza è una continua mescolanza di falso e di vero, di cose degne di ammirazione e di altre meschine».
E conoscendo la penna velenosa di Schopenhauer gli è pure andata bene.
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