Ogni anno la stessa storia: noi che al nord passiamo nove mesi al buio imbacuccati nelle pelli d'orso a intagliare ruspe di cedro per i nostri piccini ai primi caldi veniamo come abbacinati dal bagliore delle gambe delle nostre squaw, come se per tutto quel tempo si fossero conservate in frigo fra il grasso di foca e le costine di maiale e si portassero appresso ancora un poco di quel rigore da disciogliere come rugiada sotto i tiepidi raggi del sole. La donna che d'inverno è tutta più segreta e sola, tutta più morbida e pelosa, e bianca, afgana, algebrica e pensosa, d'estate è più pubblica e impegnata, tutta più tonica e depilata, e afro, americana, euristica e facilona, è una geometria non euclidea che sconvolge i piani ben congegnati dell'uomo parallelepipedo, e tutto questo per un brevissimo arco di tempo, poi la finestra temporale si richiude e arrivederci all'anno successivo. Morale della favola: buonanotte.
RispondiEliminaveramente io darei non so che per trovarmi sulla cima di un monte innevato...
Anch'io da ragazzo, ora mi piace il sole.
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