Sono inquieto, ho messo il naso fuori dalla finestra e quello spicchio di collina che solitamente mi da il buongiorno incastonata fra gli squallidissimi muri di due sgarrupatissime case nemmeno si vede più, un chiarore denso e lattiginoso come un foglio A4 ha cancellato tutto il paesaggio, la neve s'è ghiacciata, non si sentono le macchine, che almeno mi tenevano compagnia e mi davano ancora l'illusione di essere in qualche modo legato al consorzio umano. In ogni caso, il pentolino del te è sul fuoco, mi è tornata la voglia di leggere, mi manca solo l'erba pipa. Ma c'è una cosa che mi inquieta ancor più dei cavalieri neri che mi inseguono sulla via di Rivendell, ed è il rassemblement dei moderati. Un tempo il cavaliere nero era così risoluto sul da farsi che almeno ti dava una certa tranquillità, ora al solo pronunciare la parola "moderati" un brivido mi corre lungo la schiena e mi si parano innanzi le figure di uomini viscidi e senza volto, uomini di buon senso e di senso comune, del senso comune italiano, quindi di una imbecillità spaziale. Ho come l'irresistibile desiderio di afferrare l'anello e di infilarmelo al dito per scomparire e per non farmi più trovare dai collegi elettorali. (dopo
Il Signore degli Anelli attacco
Moby Dick, mi chiamerete Ismaele).
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Edvard Munch, "I moderati" |
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