Dato per scontato che la materia dovesse essere per forza di cose "materiale", Dalton, Thomson e Rutherford modellarono l'atomo secondo categorie classiche (potremmo azzardare "platoniche", con riferimento ai solidi platonici). L'atomo di Dalton era un puntino indistruttibile di materia, quello di Thomson una sorta di plastilina elettromagnetica, quello di Rutherford un modello su scala microscopica del sistema solare, quasi che anche gli atomi dovessero rendere conto alla forza di gravità. Con Bohr si cominciò invece ad intuire che per tenere assieme gli atomi occorreva appellarsi alle leggi di una nuova e stupefacente teoria scientifica, la meccanica quantistica. Dalla scoperta fondamentale che l'emissione di energia non è una grandezza continua ma discreta (esiste una costante fondamentale, la costante di Plank, che mette in relazione il valore dell'energia con la sua frequenza), si arrivò a postulare che non è possibile conoscere contemporaneamente posizione, velocità o quantità di moto di una particella, più si tenterà di definire con certezza una delle due grandezze, tanto più aumenterà l'incertezza riguardo all'altra secondo una principio di proporzionalità inversa. Questo comporta che non possiamo conoscere le orbite esatte dell'elettrone attorno al nucleo atomico, quello che ci è dato di conoscere è tutt'al più la ragione di spazio entro la quale è più probabile trovarlo. Questa regione viene chiamata orbitale, è quella funzione d'onda (e cioè quell'ampiezza di probabilità) che esprime la porzione di spazio in cui si può trovare l'elettrone quando non viene misurato e sollecitato da un fotone o da qualsiasi altra particella. L'orbitale si può definire come quella nebbiolina quantica che non esprime tanto il moto del singolo elettrone quanto tutte le sue possibili orbite entro un intervallo di probabilità.
Questi sono solo alcuni dei diversi aspetti che può assumere un atomo, non ricorda dunque nella forma quella del famoso ristorante di Bruxelles. E questi sono gli stessi atomi che compongono la materia di cui siamo fatti. Nel nostro piccolo siamo oggetti quantistici, gli atomi del nostro corpo, a guardarli bene da vicino, esprimono solo la probabilità di trovarsi in un certo luogo e non la certezza (volevo dunque comperare un microscopio a scansione, ma costa come una Golf). Questa progressiva perdita di determinismo della materia e il suo progressivo svaporare nelle nebbioline quantiche, aggiunto a quella questione fondamentale e molto suggestiva che è il problema della misura (la funzione d'onda decade nel momento stesso in cui la si osserva, per cui la vera forma dell'atomo ci è di fatto inaccessibile, una vera cosa in sé), porta molti a pensare che la meccanica quantistica sia la prova che il mondo della materia sia un'illusione, un mito tenuto in piedi dall'industria dei divani (e cioè delle comode sedute). Sarà vero, non sarà vero? I fisici non si danno risposte, com'è noto si assumono l'onere del come ma non quello del perché.
Detto questo, tenete presente che gli elettroni, secondo le ultime teorie in cerca di conferme sperimentali, sarebbero composti a loro volta da un gran numero di stringhe di energia vibrante che chiamare infinitesimali è ancora riduttivo. Per dare l'idea delle dimensioni di una stringa, essa dovrebbe essere grande quanto un alberello se si rapporta un atomo alla dimensione del sistema solare. A volte mi rigiro nel letto pensando che non sappiamo ancora bene di che cosa siamo fatti e che nella sua struttura più infinitesimale il mio stesso corpo è un mistero che la stessa scienza non è ancora riuscita completamente a spiegarsi.
Cantor, per via dei suoi studi sugli insiemi infiniti, finì per soffrire di depressione, per sentirmi male a me bastano invece le leggi della fisica: qui auget scientiam, auget et dolorem.
Fine.
Fine.
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