martedì 25 giugno 2024

Quanti affitti ho pagato nella mia vita, le mie pigioni, alzarsi presto, dormire tardi per guadagnare un po’ di tempo allo studio, alle fioche luci delle candele di sebo, alla sera leoni, la mattina… sveglia alle 7:00, richiamo alle 7:30, ancora cinque minuti, tutto calcolato, come Fantozzi: tè, fetta di torta fatta in casa, me la preparavo la domenica, poi evacuazione mattutina. Avevo abituato il corpo ad obbedirmi, ricordo delle colonie estive quando si cacava come uccellini fra due burrasche, estote parati. D'inverno il saluto al sole che avremmo rivisto la mattina seguente, come al polo nord, sei mesi di buio, tornare a casa alle 18:30, senza luce, a whiter shade of pale, dei Dik Dik. E poi le mie colleghe, solo raggio di sole nelle tenebre, poi d'estate, quando si mettevano i sandali… ero ingrassato di 15 chili, sembravo l'omino Michelin ma conservavo un mio fascino, beato fra le donne, come il Tannhauser di Wagner. Tutto perduto.

«Gustin», gli feci, «tu mica sei sempre stato così rincoglionito come oggi, abbrutito dalle circostanze, il mestiere, il bere, le sottomissioni più funeste… Te la senti, per un momentino, di tornare alla poesia?… di fare un salterello di cuore e di minchia alla lettura d’un’epopea, tragica certo, ma nobile… sfavillante!… Te ne credi capace?…»

1 commento:

  1. "...senza luce, a whiter shade of pale, dei Dik Dik...."
    Il testo utilizzato dai Dik Dik mi è sempre piaciuto di più di quello originale, ermetico e enigmatico. La parte musicale, a parte l'onnipresente Aria sulla quarta corda, mi riporta a momenti irripetibili si struggimenti giovanili.

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