martedì 30 marzo 2021

Inception

Ieri ho guardato Inception, ne avevano parlato tanto. Alla prima inquadratura già cominciamo male perché a me il faccino puerile di Di Caprio ispira solo tedio e irritazione. E infatti il film ti ammorba fin dall'inizio con la consueta menata dei paradossi spazio-temporali e del sogno nel sogno, e in più attacca con le strade che si ripiegano su se stesse e i corridoi degli alberghi che si rigirano sottosopra come ruote di criceti, in un bignamino ad uso spettatore medio degli eterni temi di Platone, Cartesio e Calderón de La Barca (la vita è sogno o i sogni aiutano a vivere meglio?), e in più ci aggiunge tutto il suo carico di cliché di genere, quelli dei film d'azione, uno su tutti gli zainetti zeppi di cariche esplosive che aderiscono istantaneamente a qualsiasi superficie, legno, plastica, vetro, cemento armato brinato a temperature polari. Gli aggeggi non superano le dimensioni di un citofono e hanno sempre una lucina rossa nel mezzo che fa bip bip e da soli sono in grado di squarciare pareti di acciaio inox dello spessore di mezzo metro e far crollare piloni del peso di dieci tonnellate. Tutto questo serve a non interrompere la fluidità dell'azione, sempre concitatissima, che segna almeno un paio di colpi di scena al minuto, che moltiplicati per due ore e trenta fanno la bellezza di trecento per tutta la durata del film quando il mio limite fisiologico è di un paio, al massimo tre per proiezione. Ad un certo punto irrompe una locomotiva, arriva gente che spara sulle macchine, tump tump si sente, con sontuosi riverberi delle frequenze più basse, come se sparassero in bacili ricolmi di panna cotta. C'è poi sempre il trauma sentimentale a minacciare la stabilità psichica del protagonista, che abbatte i cattivoni come fossero mosche (sono solo proiezioni del subconscio, un concetto relativamente semplice che lo capiscono tutti) e poi ama i suoi figli con la tenerezza di un pastorello che in tutta la sua vita non ha mai tirato il collo nemmeno a una gallina. Giudizio finale: cagata pazzesca.

5 commenti:

  1. Egregio, mi rendo conto che Lei mi sospetterà di piaggeria. Ciò nondimeno, vorrei dirle che nelle sue - ahinoi rarioni - recensioni cinematrografiche convergono le competenze tecnico-scientifiche di un Galileo, la prosa puntualissima e forbita di un Kezich e l'umorismo di un Königsberg.

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  2. Capisco il Suo smarrimento. Ne ha ben donde: Allen ricorre tanto nel nome anagrafico di Zimmerman (che fa Robert Allen), quanto in quello d'arte di Königsberg (Woody Allen, come lei ha prontamente precisato). Poi potremmo aggiungere che entrambi, da ragazzini, sono cresciuti a pane e Talmud

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    1. Poi però Dylan ha cambiato nome e ha avuto il periodo cristiano.

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